Trent’anni di storie (con la persona al centro): viaggio nel Campus Bio-med…
Affidabile. Sicuro. Dal 2012. Scambia Crypto Iscriviti per ottenere uno sconto sulle commissioni di trading!
Tutto è nato da una semplice boutade: «Ma voi avete mai pensato di costruire un ospedale?». Monsignor Álvaro del Portillo era serio, tanto da spiazzare il suo interlocutore, Paolo Aruallani, in quel periodo medico e professore universitario presso la Statale di Milano: no, non ci aveva mai pensato. Creare una clinica universitaria, una struttura ospedaliera con all’interno un reparto per l’istruzione, era un’idea originale e rivoluzionaria allo stesso tempo: una realtà che legasse in modo solido e visibile presente e futuro, studio e lavoro, formazione e professione. L’idea accarezzò la mente di Arullani e, con il singolare intuito che contraddistingue il sognatore, lesse tra le parole di don Álvaro tutto ciò. «Andavamo a Trigoria – racconta l’ex Presidente del Campus biomedico di Roma, Arullani – in questo terreno che allora era verde, calpestato solamente da un cavallo. Non c’era altro. E noi, in cima alla collinetta guardavamo lo spazio e io facevo vedere, a chi era con me, l’ospedale. Perché l’ospedale c’era già, ma loro non lo vedevano”.
Quella semplice domanda, un sogno ad occhi aperti espresso dal vescovo prelato per l’Opus Dei, si è trasformata in un lavoro incessante per realizzare una delle strutture sanitarie di riferimento in Italia. Trent’anni possono sembrare pochi nella storia di un’istituzione, eppure in questo arco di tempo L’Università e la Fondazione Policlinico Campus Bio-Medico di Roma si sono evolute, hanno prodotto rami e fogliame dando vita una chioma rigogliosa e ammirevole. Senza mai dimenticare le radici. Nel docufilm di Andrea Pellizzer, “Campus Stories”, prodotto con l’obiettivo di celebrare i trent’anni della struttura, vengono raccontate le origini profonde dell’istituzione: mettere al centro la persona e il benessere con uno sguardo rivolto al futuro.
Il docufilm, con un montaggio cinematografico, fa ascoltare non soltanto le voci di studenti, dottorandi e operatori sanitari, ma anche il racconto di una struttura volta all’accoglienza e all’innovazione. Come un navigatore abile, il Policlinico si è saputo destreggiare tra le correnti della modernità, senza mai perdere il timone dei valori fondativi. Diceva Sant’Agostino che «si ama soprattutto ciò che dà piacere»: le storie di Francesca, Sebastiano, Maria Dò, Carlo, e tutti i testimoni che danno corpo al racconto, hanno in comune l’entusiasmo per il proprio lavoro e l’amore per il paziente. Francesca, Responsabile del Centro Diurno, ha creato uno spazio d’ascolto per far sentire i propri pazienti accolti e regalare loro momenti di socialità. Questa iniziativa riflette il valore centrale del campus: la cura della persona, che va oltre all’aspetto medico, creando un ambiente sano. Carlo, ricercatore, in collaborazione con il Policlinico, ha creato uno spin-off con l’obiettivo di realizzare nuove tecnologie per rilevare, in modo sempre più facile e meno invasivo, il dolore dei pazienti. Il suo lavoro incarna l’impegno dell’Istituzione per l’innovazione e l’eccellenza della cura, con un occhio vigile sui bisogni dei pazienti. Stefano, infermiere, anche con la stanchezza delle ore notturne riesce a dare la giusta attenzione e cura al paziente. La dedizione di Stefano rappresenta l’umanità e l’empatia, principio che la Fondazione promuove costantemente.
Immerso ancora in quel verde della collinetta di Trigoria da cui tutto è cominciato, il campus è un’eccellenza a livello nazionale. Per rendere l’idea, oggi: forma oltre 4mila studenti iscritti alle facoltà di Medicina e Ingegneria; accoglie più di 200mila pazienti curati ogni anno; con oltre 150 progetti, viene considerata un’avanguardia nei settori di ricerca di oncologia, neuroscienze e bioingegneria. Con un soffio giovane e innovativo, la polvere che si può accumulare sulla struttura dopo trent’anni, viene dispersa dal costante inserimento di nuovi studenti e nuovi medici. Trent’anni non sono pochi, vero, e alcune strutture possono risentirne. Ma per il Policlinico è solo l’inizio.